9 APRILE – L’impatto devastante del COVID 19, che ovviamente condiziona pesantemente la produzione di rifiuti sanitari, riguarda anche la gestione dei rifiuti urbani, sotto diversi aspetti: indicazioni di modifiche dei comportamenti da adottare da parte degli utenti, origine di nuove tipologie di rifiuti, cambiamento nei flussi raccolti.
L’Istituto Superiore della Sanità (ISS) ha pubblicato una guida pratica, anche sotto forma di poster, su come raccogliere e gettare i rifiuti in questo periodo di emergenza sanitaria, con particolare riferimento alle persone in isolamento domiciliare, perché risultate positive al coronavirus o in quarantena obbligatoria: in questi casi i rifiuti non devono essere differenziati, ma vanno chiusi con due o tre sacchetti resistenti. Se invece non si è risultati positivi, la raccolta differenziata può proseguire come di consueto, avendo l’accortezza di smaltire i fazzoletti di carta nella frazione indifferenziata. Successivamente il Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA) ha approvato un documento che contiene indicazioni generali per la gestione dei rifiuti nell’ambito dell’emergenza Covid-19.
L’indicazione di non differenziare e gestire con le modalità indicate dall’ISS sono state dettate dall’esigenza di approcciare con la massima cautela il problema, ma forse in questo caso si è andati persino oltre…
In fase di raccolta gli operatori, già attrezzati con DPI per contrastare il rischio biologico, non hanno contatti con i rifiuti. In ogni caso lo stesso doppio sacchetto o il contenitore potrebbero essere contaminati esternamente dalla persona infettata o a rischio infezione. Occorre quindi sempre grande attenzione con i rifiuti da parte degli operatori ed il fatto che i rifiuti siano differenziati o non cambia relativamente il rischio. Questo tanto più per il fatto che nella realtà il numero dei contagiati sembra essere notevolmente superiore a quello accertato e identificato, in una misura che conosceremo solo con i test sierologici di ricerca degli anticorpi…
Nella fase di trattamento dei rifiuti indifferenziati eventualmente raccolti separatamente dalle utenze in questione, il documento di SNPA indica come prima opzione l’incenerimento e come seconda il trattamento meccanico biologico (TMB), se viene garantita l’igienizzazione e la sicurezza dei lavoratori. La stessa cosa però si potrebbe ottenere sicuramente negli impianti di compostaggio o di digestione anaerobica seguita da compostaggio, dove si raggiungono temperature di almeno 55 ° C per tre giorni (ma nella realtà più elevate e per più giorni), come prescrive la normativa vigente e dove quindi viene garantita l’inattivazione del Sars-CoV2.
Diversa ed effettivamente più critica è invece la gestione delle attività di recupero che prevedono una selezione manuale del rifiuto. Ma in questo caso è possibile mantenere “in quarantena” anche i rifiuti da selezionare (ad es. i tempi di permanenza sulla plastica sono di 72 ore). Anzi, in relazione a quanto esposto prima sul tasso del contagio “emerso” rispetto a quello reale, questa cautela andrebbe praticata comunque.
La progressiva estensione dell’uso delle mascherine facciali da parte dei cittadini comporterà un sempre maggiore impatto sulla produzione dei rifiuti urbani. Infatti le tradizionali mascherine chirurgiche sono usa e getta e anche una sanificazione alla luce solare può prolungare leggermente la durata ma non più di tanto…
E’ però disponibile l’alternativa delle mascherine lavabili. In Italia sono molte le realtà tessili grandi e medie, dal Nord al Sud, che si sono attivate per convertirsi e produrre rapidamente i tanto necessari presidi sanitari. La differenza è che parte delle mascherine “Made in Italy”, diversamente da quelle prodotte in Cina, non sono monouso ma sono riutilizzabili e lavabili.
Ad esempio quelle prodotte da Miroglio Group di Alba sono realizzate in cotone ed elastan e trattate con idrorepellenti (a marzo sono state donate le prime 10.000 all’Unità di crisi della Regione Piemonte), molte altre sono ancora in cotone, qualcuna (es. Carrillo Home) in TNT.
Normalmente viene consigliato un uso per una decina di volte di lavaggi.
In generale sono allo studio sistemi per disinfettare le mascherine, anche quelle usa e getta, con il calore e poterle riutilizzare, ma non esiste ancora, come afferma lo stesso ISS, una procedura condivisa.
Poiché le mascherine saranno probabilmente utilizzate per un lungo periodo di tempo, occorre affrontare correttamente il problema; a questo proposito sarebbe interessante avere delle valutazioni mediante LCA (Life Cycle Analysis) delle varie alternative.
In ultimo, oltre ai rifiuti derivanti dai DPI usa e getta (o di quelli riutilizzabili a fine vita), si sta assistendo a qualche variazione nella produzione dei rifiuti. Probabilmente più avanti si avranno dei dati affidabili e si potranno fare valutazioni interessanti. In questo momento una prima valutazione pare essere la diminuzione della produzione di rifiuti organici. Anche se teoricamente la quantità globale di cibo consumato non dovrebbe essere diminuita con lo “stare a casa” (anzi…!), il dato, se confermato, potrebbe essere correlato alla forte riduzione del contributo derivante dalle utenze non domestiche, in particolare quelle di ristorazione (individuale e collettiva) le cui filiere, per ovvie ragioni, determinano una produzione di scarti superiore a quelle delle utenze domestiche. Si spera anche che, restando più a casa, le famiglie abbiano imparato meglio a gestire meglio gli alimenti acquistati!
In sintesi l’auspicio è che, passata la fase acuta dell’emergenza, siano tenute sempre in considerazione adeguatamente le esigenze di una gestione dei rifiuti ambientalmente sostenibile.
di Riccardo Marchesi
